Estratto da “Toponomastica – storica camelo-santelenese, rurale e urbana”
Del Prof. Pietro Mario Pettograsso
“Con decreto autorizzativo di Re Umberto I°, del 7 novembre 1896, si accoglieva l’istanza espressa dal consiglio comunale il 3 ottobre precedente, su proposta del consigliere anziano dr Ettore Verdile, “di mutarsi a questo comune il nome, da secoli mantenuto, di Cameli in quello di Sant’Elena Sannita”.
Quali erano i motivi per i quali si era deciso di derubricare il nome onorato del paese e, in un certo qual modo, gettare nell’ombra la storia millenaria di una comunità nota con il vecchio e liquidato nome di Cameli? G.B. Masciotta, contemporaneo dell’avvenimento, riferisce, fra l’altro, che il Consiglio comunale fu indotto al passo “ad evitar beghe…ed a frastornare la leggenda”, secondo la quale gli abitanti “erano motteggiati e presi a beffe dai vicini indicati per “Cameli”, cioè “cammelli” o uomini schiocchi”. Non abbiamo motivo di minimizzare quanto riferito dallo storico di Casacalenda, che, peraltro, intelligentemente aggiungeva: “Crediamo che si tratti di una stupida malignità, poiché invero in S. Elena il cervello degli uomini è affinato non meno di quanto i suoi arrotini girovaghi sanno affinare gli arnesi da taglio”. La ragione corrispondeva al vero e la nota, stringata ma al pari tagliente del Masciotta “elegantemente coglieva e rappresentava, di fatto, le motivazioni sottaciute e chiaramente condivise dai camelesi contemporanei, non scritte ma palesemente, ingiustamente e incivilmente sofferte nelle relazioni quotidiane per le più diverse vicissitudini”…..
La nuova denominazione risultava un piccolo papocchio o, se visto da altra sponda, un autentico capolavoro diplomatico sostenuto da rinvii culturali: in primis, l’atto di devozione alla principessa Elena Petrovich, futura sposa del Principe ereditario, mossa vincente per l’ottenimento del cambio di nome al paese, era fuso e integrato con il richiamo della santità della madre di Costantino; in seconda battuta veniva aggiunto il richiamo alla vecchia e gloriosa storia delle genti sannitiche, sostenuto dalla necessità di distinguersi da altri Comuni italiani già con lo stesso nome…..
Non è il caso ora di parlarne diffusamente; si spera di farlo, nel contesto di ricostruzione di un segmento storico del territorio, in un prossimo lavoro di collegamento e di integrazione dalle origini agli inizi del ‘600, là dove si è iniziata un paio di decenni fa l’avventura di dare un voto ad una comunità apparentemente senza storia…..
E’ importante sottolineare che l’espressione “Terra de ‘ Cameli” identificante non solo l’abitato ma tutta l’area territoriale di riferimento della popolazione che man mano ne entrava a far parte, traduceva la consimile in lingua latina, forse di marchio monacale, di “terra camilorum” ovvero territorio-paese situato su dei colli che, posti in naturale progressione altimetrica, richiamavano l’immagine dei cammelli (impropriamente, perché trattandosi di più di una gibbosità, si sarebbe dovuto chiamarli dromedari). L’analogia doveva apparire ancora più evidente nei primi tempi dell’insediamento o addirittura prima dello stesso, allorché lo specifico contesto territoriale appariva all’osservatore, soprattutto se situato in posizione altimetrica più elevata (e in questa condizione si trovavano di certo i frequentatori dei centri monacali sulla montagna!), nella sua nuda superficie gibbosa, perché costituita da rocce arenarie, tufacee, chiazzata qua e là da macchie di vegetazione mediterranea ( in prevalenza ginestre,sambuco, pruni, qualche tiglio e olmo) su entrambi i crinali e soprattutto su quello settentrionale, più accentuato. Il toponimo, dunque, ha tratto origine dalla morfologia originaria del terreno…..”
Sant’Elena Sannita negli anni trenta del ‘900 si caratterizzava come un piccolo comune in cui le strade erano dissestate e difficilmente percorribili per raggiungere i paesi più vicini, non vi erano ferrovie, uffici pubblici di riferimento e mancava la stazione di servizio del Carabinieri. Gli spostamenti avvenivano quasi sempre a piedi o, per i più fortunati, con biciclette o carrette a trazione animale. Date le condizioni poco favorevoli per mandare avanti la famiglia, il santelenese avente capacità di arrotare forbici e coltelli, inizia a cercare fortuna spostandosi con la propria mola, montata su un semplice carretto spinto a braccia, per Roma e Napoli. In particolare a Roma i santelenesi, conosciuti oramai come arrotini, si dividevano le varie zone di lavoro spostandosi con biciclette avente una piccola mola posta sul telaio. Affilavano coltelli e forbici di tutti negozi, a partire dai coltelli da macellaio per finire a forbici e rasoi da barba. Inoltre, per incrementare il proprio guadagno, l’arrotino inizia a vendere talchi e schiume da barba, esponendo nelle vetrine dei loro piccoli negozi vasetti di brillantina, scatolette di sapone da barba, pennelli da barba e lozioni per capelli. Da questo momento il santelenese inizia a svilupparsi sempre più come profumiere, lasciando solamente a pochi il lavoro di arrotino.
Oggi Sant’Elena Sannita è conosciuta come il paese dei profumieri.